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Archive for luglio 2014

uomo solo

Ho avuto molte donne nella mia vita, donne molto belle, alcune forse meno, ma dotate di un’intelligenza istintiva, caparbia, a tratti feroce. Con questo non intendo cadere nel solito luogo comune che cataloga le donne belle come sciocche, e viceversa per le altre, non è così esattamente, ma credo in realtà che la bellezza oggettivamente tale crei una sorta di indolenza e di pacifica rassegnazione sugli eventi esterni ritenendo superfluo incuriosirsi alla vita e agli esseri umani. Mentre le altre, ugualmente belle ma a tratti ostiche al primo approccio, hanno sviluppato uno spessore interiore talmente elevato che spesso travalica il loro aspetto fisico: le guardi camminare e ne ammiri il sedere, la forma del seno, lo sguardo ammiccante e profondo, ma poi ti fai rapire da un gesto della mano, da un modo di chinare la testa mentre dialoga, dal modo istintivo di rispondere con veemenza per difendere se stessa. Questa ovviamente è una mia divagazione personale perché diviene impossibile generalizzare quando si parla di donne, sono tutte inclassificabili a cominciare da mia madre: ti sembra di conoscerle quando ti vivono accanto ma poi, dopo qualche anno che non le vedi, le ritrovi completamente diverse anche nei gusti più semplici come quelli di scegliere un gelato. Loro ne sono capaci. Noi un po’ meno. Loro chiudono una storia, si annullano abbandonando tutto, dagli amici alle abitudini, e rinascono, diverse e più belle, con occhi sempre più spietati; noi no, noi continuiamo a vivere nel passato aggiungendo di volta in volta pezzi del presente, e a fasi alterne ci sentiamo ancora nel passato, costretti a vivere un presente che ci è capitato.

Le mie storie importanti sono, in genere, decennali. Più di tanto non duro, dopo comincio ad annoiarmi, e proprio per questo non sono riuscito ad avere figli, una famiglia regolare, dei progetti in comune: passo i primi sette anni a conoscerle, godendo della loro presenza senza volermi impegnare in altro, e poi comincio a staccare. Lentamente. Me ne accorgo dal desiderio che m’ abbandona, dal modo che ho di possederle, di farmi amare con passività come se mi stessi concedendo. Le lascio fare. Le lascio divagare sul mio corpo.

Ho avuto tre storie importanti e adesso sono alla quarta, da circa cinque anni. Quest’ultima è forse la più banale: ragazzetta molto più giovane, bella come i diktat richiedono, lunghi capelli biondi, esile come una carta velina, fashionista all’estremo e di pessimo carattere. E’ una donna che non legge nulla, non mi era mai capitato prima, non l’ho mai vista con un pezzo di carta stampata in mano e non ama neppure andare al cinema, tutto per lei è “orrore”. Ripete quella parola incessantemente per tutto: per i film d’autore, le automobili vecchie, le locande spartane, gli hotel a tre stelle, i mendicanti per strada, le tavole imbandite, le donne trascurate, i musei, le mostre e tutto quanto esula dal suo interesse. Anch’io divento un “orrore” quando mi sento affaticato da me stesso. Perché persevero ancora al quinto anno? Perché di lei mi ha preso questa curiosità di scoprire cosa si cela dietro tanta paura dell’”orrore”, perché mi sono convinto che sia fragile e impaurita e che dietro questa facciata nasconda qualche orrore vero e proprio. Ma sto per mollare. Me ne accorgo dal bisogno che ho, sempre più frequente, di comunicare con quella precedente, l’unica con cui sono riuscito a condividere qualcosa. Spesso la chiamo e parliamo per ore raccontandoci di libri che lei ha letto e poi mi presta di nascosto, di film che lei ha visto e che avrei voluto vedere anch’io con lei, di cibo che lei cucina e sperimenta per i suoi amici (tavole dalle quali sono escluso), e mi racconta la sua vita che non si ferma mai e procede spedita, adesso che mi ha cancellato. Lei è una di quelle che si è trasformata e adesso la vorrei tanto conoscere per davvero, ma è divenuta inaccessibile per me, perché come quelle donne di un’intelligenza feroce, capisce istintivamente che sono un pericolo per la sua integrità. E lo so anch’io.

Io divoro le donne. Lei me l’ha ripetuto per tanti anni: succhio loro tutte le energie, mi approprio del loro sapere costringendole ad accudirmi e portarmi per mano lungo tutto il percorso. Le spengo. Fino a ridurle vuote e sfinite e poi le lascio, aspetto che rinascano e torno nelle loro vite come figlio e amico. Con tutte ho un rapporto mai chiuso di confidenze e reciprocità: sono i miei angeli, le persone di cui fidarmi ciecamente e soprattutto rappresentano la mia sconfitta, lo specchio della mia vita futura se solo avessi avuto la pazienza e la forza di perseverare.

Sono stato un uomo divorato dall’istinto, dalla passione consumata in piedi, nei bagni dei locali, dai tradimenti, affascinato dalle donne degli amici, dal sesso consumato e subito dimenticato. Sono stato un pessimo uomo che soprattutto ha fatto del male a se stesso. Oggi ogni tanto ci penso, quando sono stanco di stare aggrappato al bancone di un bar, mentre vorrei starmene in casa davanti a un camino; oggi ogni tanto ci penso, a quelle colazioni senza parole nella pacifica consapevolezza del pensare comune, quando il silenzio è abitudine d’amore, quando non serve parlare, quando il dorso di una mano è la tua ragione di esistere. Ogni tanto ci penso. E anche lei ci pensa. Ma è troppo tardi. E oggi ogni tanto ci penso quanto sia sciocco credere ancora che la passione valga un amore. Quando il mio corpo lo sento invecchiare e mi ritrovo fuori tempo nel tempo che mi ritrovo a vivere. E allora ogni tanto ci penso alle parole che lei mi ripete sempre: “trovati una donna con cui parlare, perché quando sarai vecchio, non ti resterà altro da fare”. Ed io l’ho trovata e cercherò di tenermela stretta, costi quel che costi.

Oggi ogni tanto ci penso. Anche se sono uno come tanti.

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Per la tua memoria

v.van Gogh

 

I nostri momenti più bui
sono dell’amore
che non si scolora
quello che insiste alle
fratture del tuo cervello
alla svagatezza della tua anima
al rammendo del tuo ricordo
e passo il tempo a ricucir merletti
“sono io, eccomi, non hai memoria di me?”
ma tu mi trapassi nella maglia
prendi un punto a caso e srotoli il gomitolo
ti guardo sorridere sommessamente
sembri una bambina
e allora sempre mi chiedo
se è una mia mancanza
non aver perseverato nel lasciare tracce di me
nel tuo cervello e questo mi divora
la paura di essere ombra
nella vita che ti ha consumato
e porterò con me questi giorni lenti
temerari e sommessi di specchi
coperti e di fiamme spente
come quei camini sempre accesi
per braci dimenticate e ricordi
che non passano mai neppure
se ci butti acqua a ricoprirli
questo porterò nel tempo che non avrai condiviso
poiché la tua mano sulla mia
è la casualità dell’attimo che non attende risposta
e resto lì con la mano aperta
tradita e vuota
a chiederti chi sono.

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