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Posts Tagged ‘seghe mentali’

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Sono chiusa in ascensore, sono sola, e cerco di dominare il panico. Pigio il pulsante dell’allarme con tutte le mie forze e la sirena mi rimbomba nel cervello: mi penetra le orecchie e si sistema nello stomaco accartocciando le budella. Apro gli occhi. Merda sto sognando, per fortuna, ma la sirena esiste per davvero e si chiama citofono. Guardo l’ora, imprecando in una lingua ancora sconosciuta: h. 7,45 di sabato 31 Maggio 2014 e potrei dormire fino a mezzogiorno, io lo so, ma evidentemente sono l’unica a saperlo. Scalcio le coperte e attraverso il letto per arrivare dall’altra parte, il pigiama lungo e morbido s’infila sotto i piedi nudi e rischio di scivolare, con un colpo di reni riprendo una postura eretta, ma sento un crack nel fondoschiena: ecco, ci mancava pure la sciatica.

–          Chi è – provo a dire con una voce “finto squillante”, odio farmi sorprendere nel sonno, ma le sigarette della sera prima mi tradiscono nell’immediato.

–          Signora buongiorno, sono felice di trovarla in casa – e dove pensavi che fossi idiota, alle otto del mattino; è una voce di donna, sulla sessantina, portati male, avrà i capelli tinti di meches, una gonna blu e una taglia di troppo.

–          Senta, avrei una cosa da chiederle –

–          Mi dica – rispondo con un filo d’ansia e penso subito che sia in difficoltà.

–          Ma secondo lei, i morti possono tornare a vivere?- esclama soddisfatta la ritardata, contenta di essere riuscita a esprimere l’unica frase composta della sua vita.

Non ci credo. Immediatamente si formula nel mio cervello un sonoro vaffanculo, poi respiro, e mi perdo nel tentativo di capire cosa spinge una donna, di prima mattina, a pormi domande del cazzo che richiederebbero almeno una settimana di discussione.

–          Senta… ma le sembra il momento – comincio a balbettare, sono troppo scioccata e ho perso la favella. In realtà mi vergogno per lei, non voglio infierire, e nel dormiveglia mi chiedo da dove sto attingendo tanta inutile bontà.

–          No, mi ascolti – insiste la tipa – mi dica almeno questo, ma secondo lei, i morti, possono tornare nelle nostre vite? – e vabbè allora te la sei cercata.

–          Mi ascolti lei piuttosto: non ho nessuna intenzione di trattare quest’argomento, ma se proprio vuole una risposta, mi auguro sinceramente che lei non possa mai, e sottolineo mai, tornare nella mia vita neppure sotto forma di scarafaggio! Ecchecazzo!

Ecco qua: sonno finito, ulcera, e sciatica in sottobosco pronta a fiorire come un fungo velenoso. Mi armo di tuta e occhiali da sole, anche se piove, e vado al vivaio.

E’ primavera, almeno questo dice il calendario, e devo provvedere a rimpolpare il mio terrazzo. Mi aggiro come uno zombie tra le piante e i profumi: tutto è ovattato e sembra quasi che i fruitori di tanto ben di Dio siano dotati naturalmente della dote del rispetto e del silenzio. Comincio a riprendermi e anche a pensare per davvero dove risiedono i morti.

Ecco le margherite. Un oceano sconfinato di margherite di tutti i colori. Le persone si accalcano per prendere i vasetti migliori, io li osservo un po’ a distanza, non sono ancora pronta per il contatto umano, ma qualcosa o forse qualcuno attira la mia attenzione: è un vasetto di margherite bianche, un po’ sfigato, uno di quelli che deve aver sofferto per il viaggio, per l’esposizione, per l’irrigazione. Ha dei petali appassiti e un po’ ingialliti, è messo male, e proprio per questo regolarmente scartato da tutti: issato altezza testa, osservato, e riposto senza speranza. Attorno a lui si è creato uno spazio generato dagli altri vasetti pronti a essere adottati e lui è lì, solo, in mezzo al nulla. Quest’unicità non fa che mettere in rilievo le sue carenze, diventa talmente evidente la sua bruttezza che nessuno si sogna neppure di issarlo dal ripiano. E resta lì. Inutile e pronto a morire. Ed io lo guardo ma fingo indifferenza, con noncuranza mi dirigo verso il suo vicino, fresco giallo e rigoglioso, lo sistemo nel carrello e mi dirigo altrove, ma ogni tanto mi giro, sempre più spesso mi giro, nella speranza di vederlo adottato da altri e mi ripeto: “Dai, Pa, stai fuori, è solo una pianta, non puoi sentirti in colpa anche per una pianta e ci sarà pure un limite alla follia, perché ti devi sempre prendere lo scarto di tutto, perché devi sempre essere la più scema”. Nulla di fatto. Torno indietro e me lo porto a casa.

Ed è così per tutto da un po’ di tempo a questa parte, un po’ per tutto nella vita. Sono diventata intransigente e spietata per i buoni e belli da catalogo: quelli con la carta patinata da perfettini del cazzo, sempre pronti a non farsi cogliere impreparati ma sempre scarsamente preparati e sempre pronti a consigliarti “io lo dico per te, figurati, lo sai che non direi mai nulla di male nei confronti di Pincopallo, ma lo dico per te, per tutelarti, ché non te lo meriti” e intanto t’istillano veleno. Quelli che s’intrufolano nella tua vita con passo felpato ed evidenziano ai tuoi amici le tue mancanze caratteriali, che sono sempre state tali e condivise con il sorriso, ma che di botto diventano evidenti e fanno di te un mostro “Sì, lei è così, ma lo sai com’è, in fondo è una persona buona, ti vuole bene, forse un tantino presa da se stessa”. Veleno! Queste cose/persone, specie negli ambiti lavorativi, si amplificano e diventano insostenibili e t’inducono a cambiare atteggiamento, a essere guardinghi, a mettere una distanza, a innalzare un muro. Ti costringono a difenderti, anche se hai lottato una vita per sentirti libera di esporti, ti costringono a parare i colpi e a rivestirti di ruolo. Ti fanno del male. Perché t’impongono arringhe emozionali che fanno di te stessa una persona diversa, costretta e compressa in un ruolo che non ti appartiene.

E poi c’è la rabbia per gli “arrivederci”. Quelli della gamba tesa, pronti a stravolgere l’ecosistema, ma poi in realtà pronti a nulla e poi si perdono in un fottuto non so che. Ma questa è un’altra storia.

Questo e tanto ancora da discutere e da rivedere. Questo e tanto ancora nel rapporto di me stessa con le emozioni. Non finirà mai questa ricerca dell’equilibrio perfetto, questo mettermi in discussione, quest’accettazione della negazione del confronto, questa profilo basso che mi permette di farmi scivolare addosso l’orrore della semplificazione: cosa vuoi che ti dica che tu non sappia già.

“Dov’è finita la mia pena?

           Non c’è più.

E’ ormai solo un sussurro

        ai bordi del sole.”

                             (P. Fort)

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Ho scoperto, con mio sommo piacere, che nei blog è usanza abbastanza diffusa elargire con grande generosità consigli d’uso da utilizzare nei rapporti con l’altro sesso, della serie:  ti dico io come comportarti altrimenti tu, non racimoli un cazzo.

Generalmente queste profonde illustrazioni/seghe mentali ci vengono inflitte dal sesso maschile in quanto rinomati conoscitori della psiche femminile (almeno così amano definirsi), allora ho deciso di aprire un canale di comunicazione per dar modo ed offrire, sempre gratuitamente, ulteriore materiale femminile su cui lavorare.

Chiameremo questa rubrica in diversi modi, ma per iniziare potremmo intitolarlo così:

COME SOPRAVVIVERE INDENNE ALL’UOMO CHE NON SA SCOPARE

Argomento spinoso che di solito è trattato solo in ambito femminile e sappiamo benissimo, che i termini usati tra noi donne, sono i peggiori che mente umana possa mai concepire. Si passa dal “coniglio che gli scappa” a “l’arriccia capelli gratuito” alla “tempesta di passaggio” talmente di passaggio che non devi neanche rifarti la piega. Queste categorie di uomini in genere sono facilmente riconoscibili, se non si è offuscati dalle tenebre dell’amore a perdere, sono in genere narcisi che godono a ritrovarsi nudi pur non potendo permettersi in alcun modo di esserlo e sono talmente convinti delle loro sciabolate da non rendersi neppure conto che un piccolo sottomarino giocattolo (vedi Légami di Almodovar) saprebbe fare meglio.

Come li riconosci:

1) camminano sempre con le spalle erette perché sfoderano l’arma

2) parlano molto di sesso così pensano di distrarti nel momento più opportuno

3) si fingono distratti dalle tue forme fisiche, anche se ostentano il rivolo di bava

4) ti saltano addosso alla velocità della luce che alla fine non capisci mai se stai iniziando, oppure hai già finito (insomma non ti danno modo di capire a che punto stai nel corteggiamento)

5) non sanno ridere mentre lo fanno perché hanno il terrore che tu possa ridere di loro

6) sono talmente veloci e senza preliminari (tanto a che servono, mica ti piacciono!) che non capisci mai se vieni per solidarietà o per piacere

7) e cosa peggiore di tutte, dopo che fanno bum bum si rilassano, convinti di averti massacrato di piacere, ma senza guardarti negli occhi, per paura di smentite che andrebbero ad inficiare il loro progressivo e temerario incedere nel regno dell’eros.

Come salvarsi dalla gabbia della conigliera? Le più ottimiste pensano di “istruirli” e portarli così a condividere il piacere del “abbiamo tutto il tempo che ci serve”, allora li spingono ad ascoltare i dischi di Sting (famoso per la sua lentezza), li accompagnano a fare yoga, imparano come un mantra alcune frasi chiave tipo “piano, piano amore, ecco vieni qui, piano”, ma senza alcun risultato.

In realtà non ci sono soluzioni, se l’uomo in questione è un uomo coniglio, te ne devi soltanto scappare tanto non cambierà, a maggior ragione se diventi la sua donna. Pensa che futuro ti tocca, se al primo appuntamento è il Fash Gordon della copula!!

L’unica salvezza che hai, se ce l’hai, è quella di essere la Wonder Woman dei poveri e quindi di essere meno attratta di lui dalle lusinghe di un amplesso lungo e costruito. La classica donna maschio che odia le smancerie ed è allergica al tempo che passa, in posizione ginecologica.

E diciamocela francamente, il più delle volte, la performance a tutti i costi, è una gran rottura di palle.

Quindi, l’unica maniera di sopravvivere indenne all’uomo che non sa scopare, è solo quando, e per chi, non ha proprio voglia di scopare!

 

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