Non c’era treno che non la riportasse indietro a quella volta lì, ogni volta, ma proprio ogni maledettissima volta, che saliva il predellino di un treno, il pensiero andava fisso a quella volta lì. Anche se la direzione era opposta, anche se la stagione era diversa o gli amici non erano esattamente gli stessi di quel periodo. Oppure il colore. Il colore del suo pensiero intendo, quello con cui osservava il mondo circostante. Cercava sempre di spiegarla questa cosa qui del colore ma nessuno sembrava interpretarla bene, tutti annuivano coscienziosamente con una certa gravità mormorando cose come “Sì, certo, è proprio vero”, ma lei lo sapeva che non avevano capito perché non vedeva alcuna sfumatura attorno al loro corpo. Sapeva che la stavano prendendo per i fondelli. – Sciocchi loro – si ripeteva, cercando di consolarsi. Eppure era così dannatamente semplice, bastava soltanto lasciarsi andare e non cedere, mantenendo un accordo come di sinfonia tra i colori reali e quelli che ti esplodono dentro.
Il periodo di quella volta lì vedeva il mondo blu, quello che nella scala cromatica dei colori è definito come Blu di Prussia. Con quel colore fece davvero molti danni. Tanto per cominciare entrò in un mondo virtuale attirando a sé tutte le tonalità compatibili, poi cominciò a selezionare scientemente quelle più congeniali, senza lasciare nulla al caso: una ricerca sistematica del maschio alfa color del fuoco. C’era in lei una grossa aspettativa, finalmente abbandonata la ricerca del mantello azzurro con cavallo bianco, era sinistramente proiettata solo sull’accoppiamento e sul risultato finale all’apice del piacere: quella gamma calda di un rosso intenso che sale dalla pancia e ti esplode nel cervello.
Arturo sembrava l’unico capace di incarnare tanta capacità. Sullo schermo del computer, quando lui scriveva, una specie di aura di un rosa acceso delimitava i contorni delle sue parole. – Guarda – ripeteva strenuamente alla sua amica – guarda come si illumina lo schermo. Ma non era vero. Una cosa vera invece, di quelle che ti scuotono nel profondo, che capì quando dal Blu di Prussia passò al Rosso di Persia, fu che con i colori non ci si improvvisa. Bisogna saperli dosare per bene e non scagliarli addosso al primo che passa, i colori sono come le memorie, si custodiscono nell’antro più profondo di se stessi, si conservano per i momenti grigi, come per un’estate che passa via così, come un bianco e nero scalfito dal tempo.
Ed è così che su questo predellino ingombrante mi soffermo, sosto leggermente, giusto il tempo per dare alla memoria il tempo di cadere e al colore lo spazio per illuminarmi. Ritorno a quel rosso intenso che non avevo accettato per la paura di macchiarmi d’amore.
E la chiamano estate, questa estate piena di niente, opaca e sciagurata, come un mare che teme la bufera, contenuta, riluttante, pretenziosa nella sua riottosità, un’estate senza libri, né musica e colori, incapace di esplodere, ma neppure di implodere: lasciata lì, sospesa a se stessa, in attesa del tempo che non ha più tempo